Nella prossima Legge di Bilancio ci saranno incentivi alla formazione 4.0, ma lo sforzo deve essere efficace nell’avvicinare mondo dell’istruzione alle imprese, e avere un orizzonte di lungo periodo: il nodo ancora irrisolto dei competence center; riflessioni sul rinnovo dell’iperammortamento.
Bene gli incentivi all’innovazione, necessari per far ripartire gli investimenti delle imprese e innovare gli impianti. Ma per far decollare l’Industria 4,0 italiana non bastano queste misure: bisogna spingere anche sugli altri due capitoli, strettamente legati fra loro, del lavoro e della formazione.
Gli esperti concordano su questo, in vista delle prossime misure che il Governo ha già in parte annunciato in vista della prossima Legge di Stabilità. Il punto fondamentale, segnala Emilio Paolucci, vicerettore per il Trasferimento Tecnologico del Politecnico di Torino, è che «prodotti, processi, e persone, devono cambiare contemporaneamente. Non si può introdurre in fabbrica una nuova macchina e non saperla far funzionare». Molto simile la posizione di Mauro Lombardi, docente dell’università di Firenze: «con gli incentivi è stata fatta un’operazione importante, ma parziale. Ora bisogna fare due cose: rinnovare almeno in parte questi incentivi, mirandoli un pochino di più, e incentivare la formazione». Cerchiamo di approfondire, con l’aiuto di chi tutti i giorni si occupa di formazione 4.0 e rapporti fra mondo accademico e industria, in che modo la politica può intervenire per stimolare questi processi.
Iniziamo subito sottolineando cosa bolle in pentola: il governo ha annunciato che gli incentivi verranno prorogati, riferendosi in particolare al superammortamento (attualmente al 140%), all’iperammortamento per gli investimenti in digitale (al 250%), e al credito d’imposta ricerca e sviluppo.
In vista c’è anche un pacchetto di misure sul Lavoro 4.0, che certamente prevederà incentivi alla formazione on the job, all’interno dei posti di lavoro. Nel frattempo, però, un pezzo importante del Piano Industria 4.0 inserito nella Legge di Stabilità 2017, quello relativo ai competence center, ancora non parte.
Partiamo dal capitolo investimenti, ovvero dalla parte del piano che al momento ha dato i risultati più concreti. Gli ultimi dati ISTAT sulla produzione industriale segnalano una crescita del 4,4%, il ministero dello Sviluppo economico Carlo Calenda segnala in particolare il +5.9% dell’indice riferito ai beni strumentali e il +8% di macchinari e attrezzature. Le elaborazioni del ministero dello Sviluppo Economico sulla base dei dati preliminari ISTAT vedono un aumento del 9% degli investimenti fissi lordi in macchinari (incentivati dai due ammortamenti e dalla Nuova Sabatini). Sono gli ennesimi dati che dimostrano come, in effetti, gli incentivi fiscali stiano funzionando. Ma, segnala Lombardi, «una parte di questi investimenti probabilmente non riguarda veri progetti di ristrutturazione in chiave Industria 4.0. Un processo di ristrutturazione aziendale non si improvvisa in quattro mesi».
Quindi, il dato è sicuramente positivo, ma bisogna proseguire nello sforzo di costruire un team, che riprogetta processi e prodotti. «E la cosa importante è che non solo di incentivi hardware, ma anche il software, inteso come capitale umano». Esempio: c’è un database della Crui (conferenza rettori università italiane) su tutti i corsi Industria 4.0. Ci sono varie forme anche per incentivarli, ad esempio in Toscana ci sono i voucher formativi.
«Ma non c’è una strategia ben fissata, con soggetti istituzionali e universitari. Andrebbero organizzati dei corsi interfacoltà e interdipartimento, fra economia, ingegneria, e informatica, mirati sulla formazione del capitale umano a vari livelli. Da non sottovalutare anche la formazione imprenditoriale». Le imprese si trovano di fronte a un salto culturale non indifferente, quindi anche imprenditori e manager, pur avendo sensibilità, devono ripensare tutto. Quindi, va bene rafforzare gli incentivi esistenti, e introdurne di nuovi per la formazione individuale. Ma occorrono anche «strategie condivise fra soggetti in grado di organizzare questi corsi».
Lombardi propone anche un’idea specifica: “siamo in un’epoca di big data, c’è una grande quantità di dispositivi computazionali”.
Non sarebbe male organizzare da subito un database serio sui progetti di innovazione Industria 4.0, utilizzando gli archivi regionali sui progetti finanziati da UE, coordinando e acquisendo informazioni sui database delle associazioni imprenditoriali. Uno sforzo fondamentale per capire l’entità, la qualità dei progetti, le traiettorie di sviluppo.
Paolucci avanza una proposta simile: «ci aspettiamo politiche sulle convergenze di tecnologie verso il mondo delle imprese». E poi, bisogna investire sulle persone, a maggior ragione in un Paese che (ultimi dati Ocse) ha la metà dei laureati degli altri paesi. Il docente di Ingegneria gestionale del Politecnico di Torino insiste particolarmente sull’importanza di portare avanti contemporaneamente insieme le tre cose (incentivi imprese, convergenza tecnologia fra università e imprese, scolarizzazione). E qui, le università possono giocare un ruolo fondamentale, perché rappresentano «il punto di contatto fra questi mondi: per mettere insieme tecnologie complesse, come la fotonica, l’additive manufacturing, l’internet delle cose, noi come università abbiamo le competenze. L’idea dei competence center è quella di creare dei luoghi in cui far convergere le tecnologie, facilitando il processo di digitalizzazione su larga scala.
Il problema, però, è che i competence center non partono. «Se ci mettiamo anni per programmare cose di un mondo che va ad altissima velocità, restiamo indietro» rincara la dose Lombardi, che prosegue: «nell’accademia italiana si aprono discussioni quasi infinite, ma dobbiamo renderci conto che se c’è un’accelerazione nella dinamica tecnologica, bisogna organizzare tutto altrettanto velocemente».
In materia di competence center, qualche nuova indicazione c’è (e non è positiva). Si attendeva il decreto attuativo prima dell’estate, o al massimo alla ripresa post-vacanze, invece lo stesso ministro Calenda ammette che c’è un ritardo. «L’obiettivo era di creare 4 o 5 poli di eccellenza. Oggi la questione è alla Corte dei Conti, ma dovremmo riuscire a pubblicare il bando entro novembre». Per quanto riguarda il numero dei competence center, secondo le anticipazioni raccolte nei mesi scorsi da Agendadigitale.eu, il bando non dovrebbe prevedere un numero predefinito, che dipenderà dalle proposte delle università partecipanti in relazione alle risorse disponibili. Non è chiarissimo il motivo per cui se il decreto è già alla Corte dei Conti il bando non arriverà prima di novembre. E’ anche vero che i due provvedimenti sono separati: prima deve entrare in vigore il decreto, e poi potrà essere pubblicato il bando. La tempistica indicata da Calenda, però, fa ritenere che ci siano ancora dei nodi da sciogliere. Fra l’altro, segnaliamo che nella presentazione sullo stato di attuazione del piano e sulle linee guida 2018, il Governo mette come indicazione per il bando competence center addirittura fine anno.
Nel frattempo, a Torino sul progetto competence center «stiamo già lavorando, a prescindere dalle tempistiche del bando – segnala Paolucci -. Stiamo cercando di capire come lavorare con le imprese, identificando le tecnologie su cui lavorare, facendo investimenti iniziali per costruire alcuni blocchi del competence center». Per mettere a punto un piano preciso «aspettiamo di conoscere il bando». Torino comunque intende puntare sulle «capacità nell’additive manufacturing, nella fotonica (laser, fibra ottica, iot, sensoristica). Abbiamo una serie di competenze che hanno un’applicazione industriale, quindi un ruolo nella fabbrica del futuro, e programmi di formazione specifici su questo. Il problema è come metterli insieme».
Alla base di tutto, ci dev’essere una vision su Industria 4.0. Paolucci insiste su un punto in particolare: «una rivoluzione industriale è un cambiamento profondo. La seconda rivoluzione industriale (elettricità) ha richiesto 30-40 anni per vedere gli effetti in termini di produttività. Le rivoluzione precedenti, però, erano monotecnologia. Questa, invece, è più complessa». Dal 2000 a oggi ci sono già stati cambiamenti epocali. Il controllo dei mezzi di produzione è guidato dall’accesso all’informazione (è quello che succede con Uber per le macchine, i portali per il turismo, siti come Airbnb, Amazon per commercio). E questa trasformazione (modo di produrre, vendere e consumare i servizi) ha visto l’Italia rimanere indietro. Ora, Industria 4.0 arriva in fabbrica. Cosa succederà? Le tecnologie stanno convergendo, cambia la produzione anche in settori tradizionali, e si arricchisce non solo di nuove tecnologie, ma anche della possibilità di personalizzare prodotti, aumentarne la complessità e la varietà. C’è un nuovo modo di raccogliere informazioni su come è fatto il prodotto, di produrre un ricambio su richiesta in modo molto rapido».
Tecnologie e internet vanno in fabbrica, questo cambia il lavoro, la qualità dei prodotti, le competenze.
Concludiamo partendo da una considerazione di Lombardi che riguarda i dati ISTAT: gli investimenti si sono al momento concentrati soprattutto su trasporti e beni strumentali. «Sono preoccupato per il tessile, la pelletteria, l’abbigliamento. Sono i settori che avrebbero più bisogno di politiche nuove, non solo a livello di incentivi, ma anche di strategie formative».